Robert Mappelthorpe / Fondazione Forma per la Fotografia, Milano

Nel luminoso e ampio spazio della Fondazione Forma per la Fotografia di Milano si dispiega la storia di Robert Mapplethorpe: il racconto di un’incessante ricerca volta al raggiungimento della perfezione formale attraverso la fotografia; documentata da 178 ‘pezzi’ [...]

Nel luminoso e ampio spazio della Fondazione Forma per la Fotografia di Milano si dispiega la storia di Robert Mapplethorpe: il racconto di un’incessante ricerca volta al raggiungimento della perfezione formale attraverso la fotografia; documentata da 178 ‘pezzi’, provenienti dalla Robert Mapplethorpe Foundation di New York.

Robert Mapplethorpe, "Autoritratto", 1980. Fotografia. ©Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission

Si parte in tono apparentemente dimesso, poiché la mostra si apre, rispettando un andamento cronologico, che poi diventa tematico, con i primi lavori di Mapplethorpe: le fotografie scattate con la Polaroid. Ma ciò che in queste immagini c’è di ‘minore’ è soltanto il formato; infatti, la potenza espressiva, la concentrazione plastica e la maestria tecnica sono già tutti elementi presenti e, in un certo senso, proprio la sottodimensione di queste prime fotografie porta lo spettatore ad una percezione addirittura intensificata del loro rigore compositivo. Sin dall’inizio Mapplethorpe è un fotografo ‘anomalo’, nel senso che egli usa la fotografia seguendo i valori compositivi della pittura del primo Rinascimento e quelli plastici, nella dialettica dei pieni e dei vuoti, modellati rispettivamente dalla luce e dalle ombre, della scultura classica e rinascimentale.
In Senza titolo (Randy) del 1974 la figura maschile si staglia sullo sfondo come in un tipico ritratto umanistico, con il personaggio che si sporge da una balaustra, non di meno Senza titolo (Tony) del 1973 è un “Ecce homo” che affiora dall’oscurità, come solo un Mantegna o un Antonello da Messina hanno saputo immaginare, in quell’unione sublime di presenza fisica e concentrazione psicologica che Mapplethorpe brama di raggiungere. La potenza del suo linguaggio risiede nell’aver fermamente voluto riportare al tempo presente, gli anni Settanta e Ottanta, nel cuore del trionfo dell’effimero, l’idea di una bellezza classica, atemporale e incorruttibile: un valore assoluto nella relatività dell’esistenza. L’ha fatto, come egli stesso ha più volte dichiarato, ricercando la “perfezione della forma” e cercando di “catturare qualcosa che potrebbe essere scultura”.

Robert Mapplethorpe, "Patti Smith", 1979. Fotografia. ©Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission

Nella serie dei nudi maschili tutto ciò è di un’evidenza lapalissiana, forse addirittura troppo palese, nello splendore scultoreo di questi corpi, ma Mapplethorpe è troppo cosciente della sfida che sta portando avanti per compiacersi del risultato raggiunto e, accanto alle versioni dei corpi armonicamente plasmati, alla maniera di un antico discobolo, offre ai nostri occhi punti di vista inaspettati, in cui la bellezza dei nudi diventa frammentaria e soggetta alla forza deviante della visione. Inoltre, con la serie di fotografie che hanno per soggetto Thomas del 1987, Mapplethorpe inserendo la figura all’interno di nicchie (quadrate e circolari) produce una forte tensione, quasi a confessare, a se stesso e a chi osserva, quanto sia in realtà difficile riuscire a fare del corpo umano una perfetta geometria.
Un passo indietro: prima della parte dedicata al tema del “Corpo” la mostra propone, dopo la sezione “Polaroid”, quella degli “Autoritratti”. La serie di immagini di sé, ironiche, metamorfiche, classiche e irriverenti, che Mapplethorpe ci ha lasciato sono testimoniate da una scelta molto puntuale, che segna una traiettoria cronologica all’interno del percorso e un’accelerazione improvvisa (da cui nelle sale successive si fa lentamente ritorno) sino agli ultimi autoritratti, che lo vedono ormai consapevole della malattia che lo sta consumando. Autoritratto del 1988, con accanto il dettaglio della testa del bastone con teschio che tiene stretto nella mano destra, è una fotografia di forte impatto emotivo completamente calibrato e contenuto sul piano del rigore formale dell’immagine: la mano nitida in primo piano è ancorata alla presenza di vita, il volto leggermente sfocato in secondo piano sta invece perdendo i netti confini che lo distinguono dall’oscurità indefinita (la non-vita) che lo circonda; nel braccio è appena percepibile lo scarto tra la maglia nera e lo sfondo, che diventa invisibile nel collo. Nella fotografia di Mapplethorpe i trapassi dei grigi, delle luci e delle ombre hanno un ruolo fondamentale: modellano le forme e caricano il soggetto di significato.
Dal “corpo” si passa ai “Ritratti”, dove un posto privilegiato è certamente riservato all’amica di sempre Patti Smith, di cui Mapplethorpe ha lasciato una partecipata testimonianza, riuscendo a farne filtrare dalla spigolosa presenza fisica la personalità sciamanica, e anche l’inaspettata dolcezza; lui stesso ha detto che le fotografie a lei scattate sono i suoi ritratti più riusciti.
Una piccola nicchia centrale è dedicata ai “Bambini”, trattati con molta delicatezza, anche da un punto di vista luministico, con forme meno stagliate e atmosfere più avvolgenti.

3) Robert Mapplethorpe, "Due tulipani", 1984. Fotografia. ©Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission

Un’ampia parte della mostra è dedicata ai “Fiori e nature morte”, l’altro grande tema accanto a quello della figura, amato profondamente da Mapplethorpe; del resto i suoi fiori, come è scritto in mostra, lanciano “messaggi seduttivi”, non sono semplici elementi della natura recisi e ricomposti ad umana misura e godimento decorativo: sono forme vive, seppur cristallizzate, come i suoi corpi, sono forme complesse che nascondo il mistero della vita. Due tulipani del 1984, per esempio, sono i soggetti di un dialogo silenzioso cui ha potuto dar voce, in senso metaforico, solo la poesia della visione del fotografo. Mapplethorpe sosteneva che la visione delle sue fotografie era già dentro di lui, ancor prima che possedesse una macchina fotografica: nei fiori questa sua potenza plasmatrice e visionaria è portata a un grado elevatissimo. I fiori, inoltre, sconfinano tra i generi maschile e femminile, una contaminazione tipica della fotografia di Mapplethorpe, in particolare quando il soggetto è il nudo femminile; ne è testimonianza in mostra la serie di foto scattate a Lisa Lyon, una delle prime bodybuilder. Il corpo femminile diventa muscoloso e tornito come quello maschile, il soggetto ideale per il virtuosismo scultoreo, come a Mapplethorpe ha certamente insegnato un maestro d’eccezione: Michelangelo.

Milena Cordioli

mostra visitata il 23.2.2012

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Info e link:

Fondazione Forma per la Fotografia, Milano

dal 2.12.2011 al 9.4.2012

www.formafoto.it | www.mapplethorpe.org/

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