Matisse. La seduzione di Michelangelo / Museo di Santa Giulia, Brescia

«Io intendo scultura quella che si fa per forza di levare». La forma è insita nella materia, compito dell’artista è quello di scoprila, attraverso un processo non ad aggiungere ma bensì a levare. Matisse e Michelangelo all’unisono.
Indubbiamente, per essere stato dichiarato un grande evento con velleità da grandi numeri di incassi, il taglio della mostra [...]

«Io intendo scultura quella che si fa per forza di levare». La forma è insita nella materia, compito dell’artista è quello di scoprila, attraverso un processo non ad aggiungere ma bensì a levare. Matisse e Michelangelo all’unisono.
Indubbiamente, per essere stato dichiarato un grande evento con velleità da grandi numeri di incassi, il taglio della mostra è originale e riesce a coniugare le esigenze da richiamo del cartellone con una volontà di approfondimento scientifico tipica delle piccole mostre curate da studiosi con finalità di ricerca. La mostra di Brescia è questo, un mix che può soddisfare un’eterogeneità di pubblico, così come può scontentare sia il neofita curioso alla ricerca di grandi quadri quanto il conoscitore esperto alla ricerca di un approfondimento critico.

Henri Matisse, “Interno con schiavo”, ca. 1924. Olio su tela, 91,7 x 73,2 cm, Nizza, Musée Matisse, © Succession H. Matisse by SIAE 2010, Photo : François Fernandez

La mostra è mirata, sceglie di esporre esclusivamente l’attività dell’artista francese confrontabile con le sculture michelangiolesche e forse per questo ha un limite, non dando un quadro completo dell’opera matissiana ma mostrando una porzione molto ridotta del suo lavoro; da questo insieme restano escluse una serie di tele che lo spettatore potrebbe aspettarsi d’incontrare. Risulterà difficile avere un’idea esaustiva della produzione matissiana tanto quanto del periodo storico, ciò forse per via della mancanza di alcune opere significative che avrebbero permesso di comprendere l’evoluzione artistica del maestro francese pur non sviando il confronto con la classicità michelangiolesca.
L’allestimento della mostra è curato dallo studio TA di Alberto Torsello, architetto capace di esplorare ambiti di intervento nuovi, con interessanti esperienze nel campo degli allestimenti come quello strabiliante della esposizione dedicata agli Inca che si è tenuta nello stesso Museo di Santa Giulia.
Il percorso è dominato da un crescendo di luce. L’ingresso alla mostra avviene quasi al buio, in un corridoio a gomito, l’enfasi luminosa è posta solo sulle opere. Le luci, appositamente progettate, sono in grado di produrre una ambientazione quasi naturale ma di grande teatralità. Proseguendo, il buio delle sale si dirada passando ai toni del grigio per arrivare alla luce e ai colori chiari che accompagnano gli ultimi spazi espositivi, in un percorso quasi catartico, di rivelazione e di chiarezza interiore. Accolgono alcune illustrazioni della rivista francese Verve, per la quale Matisse aveva assiduamente lavorato sopratutto nell’ultimo periodo della sua vita.
Breve il confronto con la produzione artistica di Rodin, interprete dei valori michelangioleschi, da cui Matisse trasse ispirazione per la prima opera qui presentata, Lo schiavo (Musée Matisse di Nizza). Essendo la mostra dedicata al rapporto fra l’artista francese e Michelangelo, ci si sarebbe aspettati una più ricca documentazione in merito alla figura di Rodin, che fu tanto fondamentale nel mediare tra Matisse e il maestro italiano.
Segue il confronto diretto con Michelangelo, a partire dal calco de La Notte della Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze (Gipsoteca dell’Istituto statale d’arte di Firenze). Il Ratto d’Europa (National Gallery of Australia), una delle poche tele presenti alla mostra, se rivela evidenti spunti recuperati dall’artista toscano, difficilmente potrà essere annoverata fra le opere più significative di Matisse. Ugualmente sembra poco opportuna la presenza di un dipinto inconcluso, il Grande nudo seduto (Bronty) del 1909 (New York, The Pierre and Tana Matisse), in cui è visibile il disegno sottostante e le campiture di colore rosso dello sfondo riempiono il quadro solo a metà, mostrando una preparazione che difficilmente si può credere sia intenzionale.
Interessante invece, e forse vera rivelazione della mostra, il libro Phasifae. Chant de Minos di Henri de Montherland, illustrato da Matisse e raramente esposto al pubblico. Si tratta di una serie di incisioni su linoleum, una semplice linea bianca su fondo nero, il cui il tratto deciso regna sovrano, rendendo le figure iconiche pur nel movimento forte e potente.
Il tema della danza, tanto caro a Matisse, viene trattato fugacemente con due bozzetti di bronzo di piccole dimensioni e con il bozzetto di preparazione alla decorazione per la fondazione Barnes di Philadelphia (La danza, armonia blu, 1930-1931, Musée Matisse, Nizza). L’illustrazione della rivista Verve del 1938 avente come oggetto questa stessa tematica, non sembra sufficiente a scandagliare quello che per Matisse non fu solo uno dei tanti motivi trattati, ma fu il grande motivo per eccellenza, quello della danza umana inteso come slancio vitalistico dell’uomo mosso dalla gioia di vivere.

Henri Matisse, “Pianista e giocatori di dama”, 1924. Olio su tela, 73,7 x 92,4 cm, Washington, National Gallery of Art, Collection of Mr. and Mrs. Paul Mellon, 1985.64.25, © Succession H. Matisse by SIAE 2010, Image courtesy National Gallery of Art, Washington

Nel corridoio successivo, la sala 5, tre teste in bronzo della modella Henriette, la modella preferita dall’artista, vengono accostate a incisioni su linoleum di nudi del 1938 e ad un altro dei rari dipinti di questa mostra, Katia in abito giallo (1951, The Pierre and Tana Foundation Collection), a cui fa seguito l’altro dipinto Pianista e giocatori di dama (1929, National Gallery of Arts, Washington), una delle poche tele dell’artista forse già note al pubblico. Qui il confronto con Michelangelo è reso nella sua evidenza dalla presenza del calco in gesso de Lo Schiavo morente (Gipsoteca dell’Istituto d’arte di Firenze) citato nel dipinto, che a sua volta si collega all’Interno con schiavo, la tela del Musée Matisse di Nizza, raffigurante il modello michelangiolesco in gesso che Matisse aveva nel suo atelier. Eccezionalmente per la mostra è stato fatto realizzare il calco dello schiavo di Michelangelo che poi verrà donato al Museo di Nizza.
L’allestimento si rischiara e nella sala 6 prevale l’accostamento tematico di una serie di nudi, in prevalenza disegni di donne distese, intervallati dalla tela della Donna alla finestra (1918, Narodni Muzej di Belgrado) e dalla tela delle Ragazze in giardino (1919, Musée des Beaux-Arts, Le Chaux de Fonds) dove si evince che il maestro francese ha ripreso nel periodo di Nizza gli studi realizzati una ventina di anni prima ispirati alla Notte di Michelangelo.
La sala 7 sempre più rischiarata, è dedicata al confronto con gli antichi. Lo testimoniano il Busto in gesso, bouquet di fiori, un olio del 1919 molto incisivo, che mostra in secondo piano un disegno di chiara impronta michelangiolesca e un busto antico effettivamente posseduto da Matisse esposto qui in originale (Busto antico, copia romana da un originale del IV sec., Musée Matisse di Nizza); entrambe le opere vengono affiancate ad un disegno di una Venere antica di Michelangelo proveniente da casa Buonarroti.
Proseguendo, altri disegni di nudi femminili si alternano a bronzi raramente esposti quali la Serpentine (1909, deposito presso il Musée Matisse di Nizza) e il Grande nudo seduto (1929, Musée Departemental Matisse, Le Cateau-Cambrésis). Il primo bronzo mostra tutta la sua originalità nella raffigurazione di una donna affusolata e dalle forme fortemente affinate anticipando di molti anni le forme giacomettiane.
Verso la dirittura d’arrivo, la mostra prende slancio. Viene presentata una serie delle odalische che Matisse aveva visto in Marocco nel 1912, con quattro dipinti circondati da numerose litografie.

Henri Matisse, “Il circo”, tav. 2, Jazz, Paris, Tériade, 1947. Tavola a pochoir realizzata con gouache di Linel, 42 x 65 cm, Le Cateau-Cambrésis, Musée départemental Matisse, © Succession H. Matisse by SIAE 2010, Photo Philip Bernard

L’ultimo periodo della produzione matissiana è documentato dalle vivaci gouaches découpées. Con esse l’artista risolve alcuni dilemmi che l’avevano ossessionato per tutta la carriera, quali il rapporto fra colore, disegno e scultura per cui dirà: «ritagliare a vivo nel colore mi ricorda lo sbozzare diretto degli scultori». La conseguenza del suo intenso interrogarsi sulla plasticità dei corpi in rapporto con lo sfondo decorativo trova uno sbocco in queste ‘tempere ritagliate’ che costituiscono il trait d’union fra elemento pittorico e scultoreo. Le gouaches découpées non hanno precedenti e nemmeno avranno seguito. Matisse fece colorare dai suoi assistenti dei rotoli di carta e poi con della grandi forbici andò a tagliare le forme che andava a comporre per ore interminabili. Discende da quest’invenzione il suo libro Jazz che realizza nel 1947, raccogliendo pensieri e idee dell’artista stesso sulla vita e sull’arte, oltre a questi insoliti ritagli che conferiscono al colore la massima purezza. A Brescia viene proposto per la prima volta non il libro celeberrimo ma una versione più rara del medesimo, denominata ‘album’, versione mai mostrata prima in quanto il proprietario temeva che l’esposizione alla luce potesse intaccare la brillantezza del colore.
Ci avviciniamo alla fine del percorso. A settant’anni, Matisse, malato e costretto su una seggiola a rotelle, fa ricoprire le pareti beige del suo laboratorio con delle forme di uccelli ritagliati nella carta bianca, memore del soggiorno tahitiano. E’ questa l’origine degli arazzi Oceania mare e Oceania cielo (1946, Musée Départemental Matisse, Le Cateau Cambrésis), riprodotti nel lino grezzo in trenta esemplari a Parigi. Nel parallelo Polinesia (1950-1951), le forme di pesci e rondini, fluttuanti in una danza di coralli, alghe e meduse, danno vita assieme allo sfondo ad una bicromia priva di ombre, nitida e viva tanto quanto lo spazio che Matisse esperì nell’altro emisfero.
Chiude l’esposizione una forte ed incisiva gouache découpée realizzata su tela, la bellissima Venere (1952, National Gallery of Art, Washington), che documenta ancora una volta il debito di uno dei più grandi artisti del Novecento nei confronti della tradizione e della grande arte classica.
L’ estrema stilizzazione delle forme femminili rese con una monocromia blu riporta alle veneri antiche riprodotte da Michelangelo: il colore solista semplifica e sintetizza la forma che acquista un vigore inaspettato. All’interno di questo confronto fra due titani dell’arte, sembra doveroso concludere riportando la frase del maestro francese. «Credo che la personalità dell’artista si sviluppi nella lotta da condurre contro la personalità altrui. Se la lotta gli è fatale e se soccombe, quello doveva essere il suo destino». Evidentemente quest’ultima ipotesi non si è avverata.
In parallelo alla mostra di Matisse, sempre compresa nel costo del biglietto, è possibile vedere l’esposizione Ercole il fondatore, curata da Antonio Giuliano e da Marco Bona Castellotti: una ricostruzione filologica e un’esposizione delle testimonianze archeologiche, scultoree e pittoriche provenienti in prevalenza dai musei locali che avvalorano la leggenda secondo la quale l’antico eroe greco avrebbe fondato la città di Brescia.
Lodevole la scelta di affiancare una mostra di respiro internazionale con uno studio di scrupolosa scientificità condotto nel solco dell’arte e della cultura bresciana.

Francesca Serana

In homepage particolare da Henri Matisse, “Il circo”, tav. 2, Jazz, Paris, Tériade, 1947. Tavola a pochoir realizzata con gouache di Linel, 42 x 65 cm, Le Cateau-Cambrésis, Musée départemental Matisse, © Succession H. Matisse by SIAE 2010, Photo Philip Bernard


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