Vintage collection. Nicole Tran Ba Vang / Galleria Emmeotto, Roma

La galleria Emmeotto di Roma mette in mostra il viaggio tra i meandri della bellezza dell’artista franco-vietnamita Nicole Tra Ba Vang, allestendo la prima mostra personale antologica realizzata in Italia da quest’autrice.
Parte dalle pagine delle riviste patinate la ricerca estetica della Tran Ba Vang.
Manipolando e deformando le forme del bello contemporaneo l’artista mette in gioco [...]

La galleria Emmeotto di Roma mette in mostra il viaggio tra i meandri della bellezza dell’artista franco-vietnamita Nicole Tra Ba Vang, allestendo la prima mostra personale antologica realizzata in Italia da quest’autrice.
Parte dalle pagine delle riviste patinate la ricerca estetica della Tran Ba Vang.
Manipolando e deformando le forme del bello contemporaneo l’artista mette in gioco il rapporto arte-società del consumo, e l’eterna lotta tra la bellezza intangibile della realizzazione artistica e la bellezza transitoria della moda e dei modi dell’oggi.

Nicole Tran Ba Vang, “Collection Printemps/Eté 2001, Sans titre” 07, 2001. Photographie couleur, 120 cm x 108 cm. Courtesy Galleria Emmeotto.

La manipolazione dell’immagine effimera dell’oggettivamente bello, così come la società contemporanea lo concepisce, è realizzata, in una prima fase, usando i mezzi propri della pittura.
Nei lavori della serie intitolata Icône l’artista aggredisce, con il pennello in pugno, la pagina del giornale di moda, la strappa e la deforma col suo tocco pastoso ma preciso, trascinandola nell’universo dell’arte malgrado la sua volontà.
Ad essere ritratte in questi primi lavori sono le icone del cinema e della moda, attrici e modelle famose la cui bellezza è diretta espressione dei gusti estetici della società contemporanea.
Alterando una fotografia di Kate Moss con la pittura la Tran Ba Vang compie uno spostamento semantico: letteralmente ruba qualcosa da un contesto astratto e ideologico come quello della moda, per portarlo nel mondo  differente, anche se non meno ideale, dell’arte.

Nicole Tran Ba Vang, “Sans titre”, 2006. Peinture sur page de magazine 20,6cmx27,2cm. Courtesy Galleria Emmeotto.

Entrambi questi universi hanno come referente ultimo la realtà, ma si muovono accanto ad essa senza mai toccarla realmente, ed è questo che l’artista vuole sottolineare.
Quella bellezza pura, espressa dalla stampa di moda ha la pretesa d’essere specchio della verità, o almeno della verità nella sua forma più corretta e accettabile, ma le foto su carta patinata non sono più concrete e tangibili di un tratto di colore puro steso su una pagina.
La moda esprime la paura del non identico di una società che, nel rappresentare se stessa, vuole escludere ogni tipo d’imperfezione, ignorando l’evidenza della propria eterogeneità, e compito dell’arte è svelare quest’inganno.
Durante gli ultimi anni ’90 l’artista accelera il passo, in direzione di un certo tipo di surrealismo che trova nelle nuove tecniche digitali lo strumento più adatto al soggetto rappresentato.
Nel 2000 Nicole Tran Ba Vang comincia a lavorare con la fotografia digitale, sicuramente più adatta ad essere manipolata anche in modo estremo.
Gli albori di questa seconda fase della sua produzione sono rappresentati in questa esposizione da alcuni lavori tratti dal ciclo Collection Printemps/Eté 2001, che evocano nuovamente, a partire dal titolo, il mondo della moda.
Usando i nuovi strumenti tecnici che ha a disposizione la Tran Ba Vang esplora il corpo di una modella, trattando la pelle stessa come fosse un vestito.
L’epidermide si squarcia, rivelandosi una sovrapposizione al corpo stesso, e lasciando intendere che non ci sia possibilità di distinguere il reale dalla finzione, l’apparenza di superficie dalla sostanza.
L’artista si fa stilista, crea una propria collezione di abiti: davanti alla consapevolezza dell’impossibilità di eludere i meccanismi della società dell’immagine decide di percorrere la strada dell’ironia.
Se nelle sue Icône la Tran Ba Vang svelava la verità coprendo con la pittura le icone di una bellezza menzognera, qui arriva alle estreme conseguenze dichiarando l’incapacità dell’arte d’arrivare alla nuda veritas, se si ha a che fare con una “nudità (irrimediabilmente) vestita”[1].
Con la serie Brodery l’artista passa, infine, dall’analisi dell’epidermide-vestito a quella della pelle decorata, completata e resa significante da un intervento esterno.

Nicole Tran Ba Vang, “Collection Automne/Hiver 2003/04, Belinda”, 2003. Photographie couleur, 120 cm x 120 cm. Courtesy Galleria Emmeotto.

Le opere comprese in Collection Automne/Hiver 2003/04, che chiudono l’esposizione romana, ci presentano corpi  percorsi da fitti ricami, donne intente  a decorare la propria pelle con ago e fili di lana.
Queste fotografie affermano  l’impossibilità del corpo nudo d’essere portatore di senso autonomamente, e la necessità di ricorrere a un artificio per conferirgliene uno.
Tuttavia, i disegni che percorrono queste forme rimangono puramente decorativi, più simili a temi di una tappezzeria che a tatuaggi, e questo dettaglio riporta alla mente la questione fondamentale di tutta l’attività della Tran Ba Vang: il senso della bellezza come apparenza accettata nel sistema sociale in cui viviamo.
I corpi delle donne ritratte in questi lavori finiscono per confondersi con gli ambienti in cui abitano; avendo conquistato le fattezze del contesto risultano accettabili, omologati, estetizzati, gradevoli alla vista e quindi belli, proprio perché totalmente aproblematici. Ma il problema sta proprio qui, nel fatto che l’occhio tenda a perdersi, rilassato, nei colori e non percepisca immediatamente con quale violenza quest’armonia stia divorando  l’identità delle persone ritratte.
Con il suo lavoro Nicole Tran Ba Vang coglie il fascino e la pericolosità di una bellezza basata sulla moda, sul fluire dei gusti e dei valori di una società, e svelandone i pericoli invita a considerare un bello diverso, dissestato e irregolare, per questo più vicino alla verità.

Chiara Cartuccia


[1] Valerio Dehò, Nicole Tran Ba Vang. La Beauté du diable/ Beauty and devil, Roma 2010, testo critico della mostra.

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