Elisa Sighicelli. Perlustrando lo spazio

Circonvoluzioni di cavallucci marini. Perlustrano lo spazio, ne misurano la profondità, immersi in un liquido amniotico di ipnotica memoria, danzano senza sosta su una melodia immaginaria, dal ritmo lento e senza tempo. Dance-Bound, flusso animato di energia elettrica.

Interessata a cogliere il flusso dell’energia potenziale insita nelle cose inanimate, Elisa Sighicelli (Torino, 1968), cattura, attraverso l’obbiettivo [...]

Circonvoluzioni di cavallucci marini. Perlustrano lo spazio, ne misurano la profondità, immersi in un liquido amniotico di ipnotica memoria, danzano senza sosta su una melodia immaginaria, dal ritmo lento e senza tempo. Dance-Bound, flusso animato di energia elettrica.

Interessata a cogliere il flusso dell’energia potenziale insita nelle cose inanimate, Elisa Sighicelli (Torino, 1968), cattura, attraverso l’obbiettivo fotografico, frammenti di una realtà fatta di oggetti quotidiani, creando immagini misteriose in cui la luce, con i suoi bagliori e i suoi artifici diviene protagonista assoluta di sommessi soliloqui nostalgici.
Pur avvalendosi di strumenti e di tecniche propri della nostra contemporaneità, come quelli digitali, la ricerca artistica di Sighicelli, incentrata sulle potenzialità espressive connesse alle caratteristiche fisiche della luce, non manca di mostrare evidenti legami con la Torino concettuale e poverista.
Il ricorso a materiali operativi come i neon, lascia intravedere una scelta tecnica e poetica dell’artista, riconducibile all’opera di Mario Merz, che con le parole di R. Barilli, proponeva ‘oggetti tali e quali’, movimentandone «l’inerzia ottusa facendoli attraversare da tubi e neon».
Tuttavia, laddove i fenomeni naturali dipinti da Merz si mostrano costantemente animati da un’interna spina dorsale energetica con la concretezza del ritrovato tecnologico, i lightbox della Sighicelli, percorsi da una medesima linfa vitale, mostrano un’esasperazione della natura come miracolosa.
Nella costruzione dei lightbox, l’artista ha sviluppato una tecnica molto personale, mai ripetitiva, che varia da soggetto a soggetto, e da caso a caso. I suoi circuiti fatti di piccoli e grandi neon, sono disposti con accuratezza su alcuni punti specifici dell’immagine scattata, tracciata in negativo sul fondo interno della scatola (lightbox). Rispondente a tale criterio di precisione è lo scurimento di alcune zone, praticato sul retro dello scatto fotografico, vero e proprio.
La messa a punto di una simile tecnica le consente di focalizzare l’effetto abbagliante, prodotto dalla sorgente luminosa artificiale, limitandolo a zone circoscritte dell’opera, anziché lasciare che si diffonda in maniera omogenea su tutto lo scatto fotografico, enfatizzando, così, le zone luminose – naturali – presenti nell’immagine scattata. Ne scaturiscono immagini intensamente espressive, in cui la bidimensionalità propria della fotografia acquista un’inedita profondità spaziale, che spesso corrisponde ad una sospensione temporale.
Come in Horizontal Blank, del 2002, in cui un flusso di energia elettromagnetica – sottile linea incandescente – delimita il piano di una scrivania, approfondendo la distanza posta tra essa e la tenda che con le sue pieghe le si dispone dietro. L’essenzialità delle forme, fortemente idealizzate dal taglio della luce, e i riflessi copiosi ed evanescenti diffusi sulla superficie specchiate del grande tavolo, concorrono a determinare un’atmosfera rarefatta e malinconica. Gli oggetti reali trascendano la loro pura fisicità per entrare nel dominio del metafisico, dell’impalpabile e dell’inafferrabile, dove la presenza umana è attesa e sottintesa, ma tuttavia esclusa.
Tracce di tale assenza sono fortemente percepite in Parlour, in cui la luce crepuscolare scivola, si insinua, avvolge come un corpo vivente arredi, suppellettili, superfici riflettenti di una camera d’albergo, intridendo di sé e della propria energia vitale gli oggetti, sottraendoli alla banalità quotidiana.
La realtà, così, trasposta in chiave poetica, diventa il luogo privilegiato in cui si originano immagini misteriose, date dai bagliori e dagli artifici della luce, parti dialogiche di un racconto i cui frammenti appaiono srotolati sui cinque pannelli che compongono l’opera.
Privati del loro valore autoreferenziale, gli oggetti, ne acquisiscono uno formale e compositivo, regolato, sempre, da un ineccepibile equilibrio che trova nella sezione aurea di Iceland: Blue Bed il suo momento di massima espressione. Scintilla animae,  linfa vitale, la luce è soffiata attraverso un foro nella parete che diffonde e riflette le sue infinite particelle, dando forma a un copriletto blu oltremare.
Il fenomeno elettromagnetico con la sua componente cinetica, è, dunque, l’elemento simbolico fondamentale attraverso il quale l’artista costruisce ‘macchine di senso’. Grandi ‘macchine di senso’, i lightbox di Elisa Sighicelli, in cui è presente un carattere rivelativo dato dal sentire, riconducibile, filosoficamente, alla fenomenologia di Husserl, per il quale la sensazione è manifestazione della ‘cosa stessa’ nelle sue originarie ‘sintesi passive’, che come dirà Heidegger approfondendo le analisi husserliane, sono costitutive dell’’essere nel mondo’ dell’uomo.
Qui, la luce, in quanto elemento simbolico, ha una natura non più fenomenica ma metafisica, grossatestianamente [Robert Greathead, De luce] intesa come principio fisico originario da cui tutti gli enti derivano la loro corporeità.
Nei video fotografici, la netta contrapposizione tra luce e tenebre, si rifà a questa concezione metafisica della luce, in cui tuttavia, la sua assenza si configura come strumento attraverso cui dilatare lo spazio e la sua presenza è lo strumento attraverso cui tale spazio viene sondato e rivelato. Il buio si configura come profondità spaziale, non come vuoto, e i vari piani vengono determinati, come in Nocturne (Trajectories), dal fluire placido, e ossessivo nel loop, delle traiettorie luminose di piccole barche che si incrociano, scompaiono e riappaiono, isolate nella densa oscurità del fiume Chao Phraya.
Qualche anno fa, nel 2007, in una mostra personale dell’artista, dal titolo Elisa Sighicelli, tenutasi presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il buio della sala in cui era stato installato questo video, creava una dilatazione del quadro di proiezione nello spazio circostante, conferendo all’opera un carattere ambientale molto coinvolgente. Un effetto environment che consente al visitatore di entrare e di vivere l’opera dall’interno, avvolgendolo in un’atmosfera straniante, acuita dal senso di attesa generato dalle improvvise apparizioni delle piccole barche.
L’ interesse per lo spazio fisico e reale, sempre presente in Sighicelli nonostante l’utilizzo di strumenti che vanno oltre il dato concreto, si esprime anche attraverso la ricerca di un’interazione con l’osservatore.
Tale interesse traspare anche nei lightbox, così saldamente ancorati alla realtà attraverso i cavi di alimentazione elettrica resi ben visibili, e nelle istallazioni video, in cui si mostra attraverso una alterazione dello spazio fisico e reale verso una sua virtualizzazione.
Un’alterità, quella in cui si raffrontano lo spazio fisico/reale e quello virtuale/proiettivo, sottolineata attraverso la doppia proiezione di video differenti, Nocturne (Left Bank) e Nocturne (Right Ban), nell’esposizione The River Suite, tenutasi presso la Gagosian Gallery di Londra nel 2006, in cui la dimensione ambientale generata, suggerisce al visitatore l’impressione di trovarsi tra le sponde opposte del fiume tailandese Chao Phraya, sul cui specchio tremulo bagliori intensi e incisivi si disperdono nell’atmosfera notturna.

Elvira D’Angelo

Tag:, ,

network


Artkernel Group on Facebook Artkernel Group on Twitter Artkernel Group on Last.fm Artkernel Group on Flickr