Più a Sud. Un progetto per Lampedusa / Palazzo Riso, Palermo

Dopo la tempesta che solo cinque mesi fa ha coinvolto Palazzo Riso, Museo d’Arte Contemporanea di Palermo, determinandone la chiusura e la rimozione dall’incarico dell’ormai ex direttore Sergio Alessandro, ecco che par ritornare il sereno.

Dopo la tempesta che solo cinque mesi fa ha coinvolto Palazzo Riso, Museo d’Arte Contemporanea di Palermo, determinandone la chiusura e la rimozione dall’incarico dell’ormai ex direttore Sergio Alessandro, ecco che par ritornare il sereno.

Christian Boltanski, ”Cappotti Neri”, 2001. Installazione. Photo di Paola D'Angelo

Si riparte con la mostra temporanea Più a Sud. Un progetto per Lampedusa curata da Paola Nicita e con l’esposizione della collezione permanente, curata da Francesco Andolina.
Il percorso museale si snoda nei due piani del palazzo. Il primo piano è interamente dedicato all’esposizione delle opere acquisite dal museo, sin dalla sua nascita nel 2005. La collezione permanente, presentata e curata dall’architetto dell’Assessorato Francesco Andolina,  racconta sessant’anni di Storia dell’Arte Contemporanea in Sicilia, e vanta opere di grandi maestri quali Pietro Consagra, Carla Accardi, Salvo, Antonio Sanfilippo e Emilio Isgrò. Accanto ad esse si trovano opere di giovani artisti siciliani come Andrea di Marco, Laboratorio Saccardi, Croce Taravella, Alessandro Bazan, Barbara Guerrieri, Loredana Longo, Fulvio Di Piazza, Domenico Mangano e Francesco De Grandi, che dialogano con le opere di Christian Boltanski e Jannis Kounellis che hanno lavorato in Sicilia e ne hanno colto e testimoniato lo spirito attraverso la propria poetica. (Le opere di Kounellis e Long intitolate rispettivamente Armadi e Il cerchio della vita verranno presentate a fine Settembre con un altro evento.)
Ad un primo piano costipato di opere, in uno spazio che par essere esiguo data la mole di lavori presentati, segue un secondo piano di impatto minimalista in cui è ospitata la piccola mostra dedicata a Lampedusa e ai flussi migratori che l’hanno coinvolta.

Francesco Arena, “Il corridoio”, 2012. Installazione site specific. Photo di Paola D'Angelo

La mostra dal titolo Più A Sud. Un progetto per Lampedusa accoglie nelle stanze del palazzo le opere di Francesco Arena, Emanuele Lo Cascio e Sislej Xhafa.
I tre artisti sono stati invitati a intraprendere un viaggio sull’isola, ad immergersi nella sua storia e nelle vicende sociali che l’hanno resa protagonista in questi ultimi anni. Quel piccolo fazzoletto di terra in mezzo al mare, terra di unione ma anche di dolore tra il Sud del mondo e l’Italia, diventa così protagonista di un racconto artistico. Gli artisti, come scrive la curatrice, “hanno realizzato le loro opere dando vita a progetti appositamente ideati, tessendo un filo invisibile che dall’isola di Lampedusa conduce nelle sale del museo”.
In una delle stanze del secondo piano “Il Corridoio” di Francesco Arena rievoca storie personali, ricordi d’infanzia e suggestioni emotive. Un corridoio rettangolare in travertino bianco è percorso novantatre volte e mezzo simulando la distanza che separa il molo Famulario, dove approdano i migranti, dal Centro di accoglienza.
Al centro di un’altra stanza, I manu (le mani) opera in terracotta di Sislej Xhafa, il cui titolo in dialetto siciliano è un omaggio reso dall’artista albanese al luogo.

Sislej Xhafa, “I Manu”, 2012. Scultura in terracotta. Photo di Paola D'Angelo

Xhafa, da sempre interessato ai temi sociali che riguardano la marginalità, la migrazione, la clandestinità e il viaggio, presenta una torre di circa due metri di altezza, creata dalla sovrapposizioni di mani realizzate in terracotta.
Nelle mani, nei loro gesti, nel loro logorio del tempo e della vita si può leggere un’intera esistenza, più di quanto potrebbero fare le sole parole. La mano viene investigata ed esplorata, in quanto ‘strumento’ intriso di significati magici, religiosi e sociali.
Emanuele Lo Cascio presenta Salāt, un lembo di marmo nero quale rappresentazione di un frammento del mare di Lampedusa,  quel mare testimone di storie di uomini e di donne che fuggono alla ricerca di una speranza, ma è anche il tappeto usato per il rituale della Salāt, la preghiera che i musulmani recitano cinque volte al giorno. Si tratta di una scultura che sottolinea il trait d’union tra le mille storie che si intrecciano nell’isola e che spesso si velano di un tocco mistico.

Paola D’Angelo

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