Stanley Kubrick. Visioni e finzioni (1945-1950). Cinque anni da grande fotografo / Palazzo Magnani, Reggio Emilia

La mostra reggiana offre un’ulteriore occasione, non solo per soddisfare la curiosità voyeuristica degli amanti del cineasta alla scoperta delle radici nascoste del mito cinematografico, ma a tutti gli interessati a sbirciare uno spicchio di quotidianità statunitense.

Palazzo Magnani di Reggio Emilia ospita Stanley Kubrick. Visioni e finzioni (1945-1950). Cinque anni da grande fotografo, terza e ultima tappa italiana, dopo Milano e Venezia, del tour espositivo curato da Rainer Crone, dedicato alla serie di fotografie prodotte dal giovane Stanley Kubrick per rivista americana Look.
In Italia l’attenzione per le fotografie del giovane reporter scattate per Look, va ricordato, è una fiamma che fa ritorno. Già nel 1994 la mostra Ladro di sguardi e la prima edizione al mondo dell’omonima raccolta, attestavano «Lo sguardo mai posato…la tensione dei personaggi a uscire dall’inquadratura, magari verso un’altra, come nel seguito dei fotogrammi filmici, cellette ossessivamente vicine»1.

Stanley Kubrick, “Coppia in un caffè portoghese”, 1948.

La mostra reggiana offre un’ulteriore occasione, non solo per soddisfare la curiosità voyeuristica degli amanti del cineasta alla scoperta delle radici nascoste del mito cinematografico, ma a tutti gli interessati a sbirciare uno spicchio di quotidianità statunitense. Se è vero che ci muoviamo nel mondo in un continuo ri-conoscere, chi era alla ricerca della rivelazione del disegno complessivo di uno dei più importanti registi contemporanei, certamente avrà trovato le tracce che cercava. Attraversare 5 anni, 9 racconti, 130 fotografie equivalgono altresì ad ingaggiare una piccola lotta contro l’abitudine critica che porterebbe appunto a leggere queste manifestazioni espressive come lo schiudersi delle prime infallibili tracce del genio creativo.
Stanley Kubrick, si narra, fu ingaggiato dal tabloid Look il 12 aprile 1945. La fotografia che lo fece entrare ufficialmente nello staff della rivista documentava la disperazione di un edicolante alla notizia della morte del presidente Franklin D. Rooswelt. Non sveliamo un segreto dicendo che lo scatto nasceva da una messa in scena appositamente allestita dal giovane Kubrick, che dimostrava così tutto il proprio talento di story teller. Era proprio ciò di cui Look aveva bisogno: un occhio atipico, capace cogliere i giusti ingredienti del reale assemblandoli in un’unica visione.

Stanley Kubrick, “A tale of a shoe-shine boy”, 1947.

Per cinque anni Kubrick ogni settimana raccontò agli americani in piccole storie coinvolgenti, i vizi e i vezzi delle celebrità (per la prima volta sono mostrate le serie complete dedicate all’attore Montgomery Clift, e al pugile Rocky Graziano), lo sbarcare il lunario della povera gente, il ritorno degli eroi di Dixieland, la dolce e frivola vita di giovani starlette, fino a superare i confini di New York City e posare il proprio sguardo immaginifico sulla vecchia Europa, in un villaggio di pescatori portoghese.
A distanza di anni questi scatti sono ancora in grado di intrattenerci, di catturare la nostra attenzione, di alimentare la nostra immaginazione. Come il lettore di Look, anche noi oggi ci sentiamo invitati a integrare le immagini con dialoghi e didascalie. Un esempio è la serie Note di un viaggio in Portogallo del 1948. Il doppio registro della struttura narrativa, da una parte documenta l’asprezza della vita in un villaggio di pescatori, dall’altra il viaggio dai risvolti noir di una coppia di turisti britannici. Le immagini magistralmente confezionate in un thriller ad alta tensione fanno presagire il dramma che presumibilmente culminerà il soggiorno dei due turisti. A queste immagini ne vengono alternate altre, commoventi per la semplicità e la forza con cui riescono a comunicare la vita di un villaggio rivolto unicamente al mare. La macchina della falsificazione funziona ancora.

Stanley Kubrick, “A tale of a shoe-shine boy”, 1947.

Assecondando la politica retorica di Look, e perfettamente in sintonia con essa, nel 1947 Kubrick mette in scena Le avventure di Mickey a New York. Il dodicenne lustrascarpe Mickey, pedinato lungo tutto il corso della giornata, svela con piglio attoriale la propria vita nella Grande Mela alla soglia degli anni ‘50. Kubrick riesce a smuovere magistralmente i nostri sentimenti, coinvolgendoci in una storia tanto tenera quanto convenzionale. Vittime consapevoli di un gioco di simulazioni, non facciamo resistenza, facendoci trasportare in quest’ulteriore sogno allestito per sembrare realtà.
Altre sette piccole storie raccontano di un’America appena uscita dalla guerra ma già stretta dalle morse di una seconda ondata di ‘paura rossa’. Esistono altri 20.000 negativi custoditi dalla Library of Congress di Washington e dal Museum of the City di New York, che aspettano di raccontare altre innumerevoli piccole grandi storie kubrickiane. Non vediamo l’ora di ricadere nella trappola.

Carole Tansella

mostra visitata il 28.5.2011


1 E. Ghezzi in E. Sgarbi (a cura di), Stanley Kubrick. Ladro di sguardi: fotografie di fotografie, 1945-1949, Milano, Bompiani, 1994, p.3.

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