Henri Rousseau e Ruud van Empel: la Natura si meraviglia

Foreste del Nord Europa o giungle intricate, frutto di esotiche fantasie: le lontananze si accorciano quando i luoghi della natura diventano stati dell’immaginazione, come nelle opere del Doganiere Rousseau e nelle fotografie digitali di Ruud van Empel. La distanza temporale di un secolo li divide, neutralizzata dallo spirito che li accomuna.
Per questo secondo appuntamento ho [...]

Foreste del Nord Europa o giungle intricate, frutto di esotiche fantasie: le lontananze si accorciano quando i luoghi della natura diventano stati dell’immaginazione, come nelle opere del Doganiere Rousseau e nelle fotografie digitali di Ruud van Empel. La distanza temporale di un secolo li divide, neutralizzata dallo spirito che li accomuna.
Per questo secondo appuntamento ho riflettuto su una Corrispondenza apparentemente più ‘immediata’, persino ovvia, vista la felice concomitanza di soggetto tra i due artisti: osservando una composizione fotografica di Ruud van Empel, mi riferisco ai lavori più conosciuti e numerosi della sua diversificata produzione, quelli a tema naturalistico come le opere del ciclo World, realizzate dal 2005 al 2008, o della serie Dawn del 2008; ebbene, anche l’osservatore più distratto andrà subito a ripescare nella sua memoria il Doganiere Henri Rousseau, con una qualsiasi delle sue stupefacenti divagazioni sull’uomo e la natura.

Ruud van Empel, Theatre #3, 2010, Cibachrome, 120 x 120 cm, courtesy Flatland Gallery (Utrecht, Paris)

Ritorniamo all’apparente chiarezza di questo dialogo: van Empel afferma di non aver tratto ispirazione diretta dal lavoro di Rousseau (a differenza, per esempio, di Maggie Taylor che dichiara apertamente il suo amore per Magritte), piuttosto sono gli artisti della Nuova Oggettività tedesca a stratificare di significati misteriosi la sua visione iperreale del mondo e di ogni suo dettaglio. Ma Otto Dix, uno tra i prediletti di van Empel, non era forse tra coloro (gli artisti tedeschi degli anni Venti del ‘900, in bilico tra spietata oggettività ed atmosfere magico-realiste) che dichiaravano il loro amore, ed il debito, verso la pittura di Rousseau? Verso la sua attenzione maniacale per la forma, la sua osservazione diretta del mondo, la totale mancanza di romantiche suggestioni atmosferiche nelle sue visioni, vetrificate nel segno e nel colore? Il cerchio si chiude e le ipotetiche frasi della nostra corrispondenza tornano a donarsi reciproco senso.

Rousseau giunge alle sue foreste tropicali per via d’immaginazione: una fantasia che nasce dalla più attenta e meticolosa attenzione per la realtà, non compresa nel suo insieme ma nella meraviglia delle singole parti che la compongono, dalla foglia al filo d’erba. Nelle sue opere il particolare diviene universale senza perdersi nel caos dell’universo.

Ruud van Empel è spinto da motivazioni differenti, quando sceglie di approdare alla giungla: le sue opere precedenti (della serie Untitled del 2004) ritraevano ragazze e ragazzi bianchi in boschi di betulle tipicamente nordici; indi l’accusa di un velato razzismo nelle sue fotografie. La conseguente ribellione portò l’artista a mostrare come non si trattasse di un problema di foresta del Nord e ragazze bianche piuttosto che di giungle esotiche e protagonisti di colore, bensì di una visione del mondo e della natura irriducibili all’umana misura e fonte inesauribile di bellezza e stupore.

Ruud van Empel, Venus #5, 2007, Cibachrome, 118,9 x 84,1 cm, courtesy Flatland Gallery (Utrecht, Paris)

Una meraviglia che accomuna i due linguaggi.  Rousseau affermava di entrare in una dimensione sognante ogni qual volta che varcava le soglie delle serre francesi, aggiungendo inoltre che: «Ciò non toglie che anche la natura che c’è da noi abbia lo stesso fascino». La Natura diventa il soggetto, non è soltanto l’oggetto dell’incanto dell’uomo, essa stessa si stupisce generando una magica risonanza che si traduce in armonia di forme e colori, note di una sinfonia che può esistere solo nel sogno e nella trasfigurazione. In Il sogno di Rousseau gli splendidi fiori esotici rosa e azzurri, il variegato fogliame in primo piano, i tronchi ed i rami sulla destra sembrano protendersi verso la figura, accompagnati dal suono del flauto dell’incantatrice che addomestica persino le bestie feroci (i loro occhi che fissano il vuoto ce li mostrano prede dell’incantesimo), come voci di un coro diretto da una mano misteriosa. Così nelle Venus (egli lavora sempre per cicli di immagini) di van Empel la natura ‘gigantizzata’ sembra esprimere un’eco che rimbalza di tono in tono, assediando amabilmente la figura.

Eppure nella bellezza di queste immagini si avverte sempre una sorta di conflitto latente, congelato nella perfezione formale, una dismisura che non pende mai a favore della figura umana, che la decentra e le inibisce l’uso della ragione di fronte alla magia della vita che nasce e cresce incontrollata, e incontrollabile. Ruud van Empel afferma che: «La natura è meravigliosa ma è anche un campo di battaglia, la lotta per la vita lì è in corso ventiquattro ore al giorno. E la contraddizione tra la bellezza e la distruzione è davvero molto interessante. Essa mostra la vita come realmente è, non solo un paradiso, ma anche una giungla».

Nel 2010 van Empel realizza delle immagini di foreste in cui prevalentemente tende ad escludere la figura umana: sono trionfi di sottoboschi/giungle in cui i rispettivi habitat si confondono, come ad evocare una natura super partes, non riconoscibile nelle diverse accezioni topografiche della nostra terra. Theatre # 3 del 2010 è l’inno ad una bellezza che non è necessariamente armonia, piuttosto un ordinato caos primordiale, in cui la drammaticità della selva, per antonomasia oscura, si stempera nella brillantezza del colore e nell’astratta purezza delle forme floreali ingigantite.

Nell’opera di Rousseau Il pasto del leone del 1907 proprio l’avanzare in primo piano di enormi fogliami e fiori tropicali fa arretrare ancor più la figura del leone che sta divorando un leopardo: è esso qui che diviene emblema di un potere oscuro, di una forza primigenia che reca con sé l’idea di una quotidiana lotta per la sopravvivenza, ma la meraviglia che lo avvolge lo rende innocuo, quasi impotente, e poco si discosta, a ben vedere, dalle fragili farfalle scelte da van Empel come solitarie abitanti dei suoi ‘teatri della natura’.

Ritornano le profonde corrispondenze con Rousseau, nel commovente medesimo amore per le piccole cose, che sopravvivono al risucchio cosmico della Natura e diventano cifra esistenziale, proprio laddove la figura umana è venuta a mancare. Sono presenze: diventano così grandi solo quando l’occhio dell’uomo ad esse si avvicina, le scruta dal vivo con un’amorevole attenzione per ogni loro singola linea, colore, differenza, come faceva Rousseau, recandosi ripetutamente presso la Serra di Parigi o trasportando nel suo studio rami e fronde per studiare dal vivo ogni singola foglia, come fa van Empel, tecnologicamente avanzato, con la sua macchina fotografica che brucia virtualmente tutte le distanze.

Milena Cordioli

3 Commenti

  1. Cosimo Lari - commento aggiunto il 9 aprile 2011 | Permalink

    splendida pagina critica… 2 autori davvero inaspettatamente vicini

  2. Lulù Palazzetti - commento aggiunto il 9 aprile 2011 | Permalink

    bellissime immagini

  3. Milena Cordioli - commento aggiunto il 18 aprile 2011 | Permalink

    grazie, lo spirito di “Corrispondenze” è proprio questo: far scoprire inaspettate vicinanze!

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