Noble & Webster: Rapsodia al di qua dei paraventi

La dicotomia con la quale gli artisti Tim Noble & Sue Webster hanno creato le loro opere più famose, comunemente chiamate “sculture d’ombra”, sebbene, come vedremo, sia perfettamente in linea, in certi momenti addirittura sovrapponibile alla filosofia di Platone (in particolare col Mito della Caverna, ma non solo), dal punto di vista estetico, costruttivo e percettivo [...]

La dicotomia con la quale gli artisti Tim Noble & Sue Webster hanno creato le loro opere più famose, comunemente chiamate “sculture d’ombra”, sebbene, come vedremo, sia perfettamente in linea, in certi momenti addirittura sovrapponibile alla filosofia di Platone (in particolare col Mito della Caverna, ma non solo), dal punto di vista estetico, costruttivo e percettivo sembra invece seguire uno schema geometrico e una traiettoria euclidea ben definita, perfettamente in grado inoltre di unire in un solo happening: antico e moderno, presente e divenire, arte e filosofia. Noble&websterVolendo partire proprio da quest’ultima, l’approccio con queste opere sembra ricalcare perfettamente il metodo socratico della maieutica: un percorso di auto-conoscenza graduale ed esponenziale che conduce lo spettatore in maniera autonoma e indipendente a capire da solo e per gradi la verità, a renderlo consapevole del fatto che ciò che egli credeva di aver visto e capito inizialmente, in realtà doveva essere rivisto e riconsiderato alla luce di una nuova e più grande consapevolezza, da conquistare nei confronti di un’apparenza mai fino a questo punto così fuorviante. Per questo motivo, la suddivisione in punti dell’analisi che stiamo proponendo, risulta essere una scelta obbligata per riuscire a fissare in maniera chiara e completa un iter che al suo interno ingloba una serie di fonti e di concetti che altrimenti troverebbero facile dispersione nel vortice che caratterizza la struttura di queste opere e che, quasi a conferma dell’enorme rilevanza del dato filosofico per i due artisti, procede coerentemente secondo lo stile narrativo-dialogico delle opere di Platone. La struttura conica e multistrato che contraddistingue la matrice delle “sculture d’ombra” di Noble &Webster, è in sintesi il confine e la forma che racchiude una precisa e calcolata serie di momenti concatenati, alcuni di origine artistica, altri di rimando filosofico, ordinati in maniera gerarchica e sequenziale, in cui la dimensione dello spazio e quella del tempo, come vedremo, concorrono attivamente alla realizzazione dell’opera, senza mai creare occasioni di vuoto o di sospensione. Lo studio attuale però, per non deviare dall’argomento, seguirà solo marginalmente l’influsso della filosofia in queste opere, rimandando eventualmente il lettore ad una più approfondita analisi.

LA LUCE
Il primo elemento, senza il quale tutto il resto in successione risulterebbe vano e compromesso, è la luce, qui intesa non solo come semplice fonte di illuminazione, spesso dal basso verso l’alto in posizione ortogonale rispetto allo spettatore, ma come appunto caratteristica sintetizzante e agente nell’economia e nel montaggio dell’opera. Si tratta quasi sempre di una luce bianca, a volte colorata, che per prima consentirà la lettura di ciò che avverrà dopo, in sequenza, all’interno di questa struttura a-dinamica e conica; il vertice e la fonte di tutto il processo costruttivo e percettivo parte dunque dal basso, ai nostri piedi, dietro il retro di un faro nascosto, messo lì quasi per non essere visto e considerato, ma con la funzione specifica di rendere possibile la “verità” dell’opera stessa in maniera polidimensionale. Le potenzialità del Mito della Caverna di Platone e lo sviluppo dell’opera, qui sono solo all’inizio.

L’ACCUMULAZIONE (la Scultura)
L’accumulazione apparentemente disordinata e caotica di materiali vari accatastati secondo uno sviluppo in verticale o anche in orizzontale, è a tutti gli effetti, come poi si avrà ulteriormente modo di comprendere, il nucleo dell’opera. Dalle caratteristiche estetiche non così lontane da quelle dell’Arte Povera, ad un’attenta analisi risulta invece essere un cumulo insospettabilmente armonico dal punto di vista cromatico, tanto da far escludere in maniera certa che si tratti di oggetti di puro scarto, di poco (artisticamente parlando) conto, messi insieme in maniera del tutto casuale. La scelta di oggetti di un determinato colore e l’accostamento di questi con altri, di colori diversi, ma distribuiti in maniera tale da creare delle corrispondenze cromatiche che, per quanto fievoli o lontane tra di loro, risultino sempre individuabili e collegate, fuga ogni dubbio in merito alla possibilità che ci si possa trovare di fronte ad una Scultura dall’imbastitura improvvisata. A conferma di quanto appena detto, le corrispondenze cromatiche riscontrabili nelle sculture di Noble & Webster, trovano un parallelo quasi perfetto nelle tele astratte dipinte con lo stile cosiddetto del “color field”. L’utilizzo di questa scacchiera cromatica virtuale e disordinata come griglia estetica per la costruzione di queste sculture vere e proprie, che comunque sia non ostacola obbligatoriamente una certa dose di casualità in fase di realizzazione, consegna allo spettatore già un labile indizio su ciò che più avanti, nella lettura dell’opera, si troverà ad affrontare. Proprio questo primo accenno alla divisione ontologica applicata ad una metafisica dell’arte: ordine e caos (nel nostro caso, l’accumulazione: “… ricettacolo informe che crea imperfezione…”, vedi Platone: Timeo), filosoficamente rimanda alla concezione del mondo sensibile ispirata da Eraclito, che Platone adotta ed elabora, in cui la percezione sensibile della realtà (e quindi, volendo, anche la percezione dell’accumulazione da parte dello spettatore) è vista in chiave pessimistica e negativa proprio a causa della sua natura instabile e in continuo movimento, dalla quale appunto può derivare soltanto una conoscenza vaga e inesatta, la doxa (la prima, superficiale considerazione che fa lo spettatore nei confronti della Scultura). Si tratta di un passaggio chiave questo, relativo ad una conoscenza vaga e inesatta della realtà, che se direttamente collegato al Mito della Caverna, ci consentirà più avanti di formulare un nuovo processo di ricognizione di tutta l’opera d’arte nel suo insieme.

LA PROIEZIONE
Prima di terminare il suo ciclo a senso unico e ascendente contro il piano ortogonale, esiste in realtà un intervallo da prendere in considerazione: la distanza che va dalla fonte luminosa alla fine della Scultura in cui, grazie alla luce, si crea in blocco la sintesi tra i pieni e i vuoti dell’accumulazione e si dà così vita al disegno, alla forma, al significato; in chiave filosofica in cui stiamo anche trattando, all’idea, alla verità. Come è già stato detto all’inizio, questo intervallo definito e delimitato, solo apparentemente possiede la sorda acustica di un tempo morto, cioè di una parentesi vuota all’interno di una struttura compatta; in realtà, è esattamente lo spazio in cui avviene il processo di attraversamento dell’opera da parte della luce e la formazione in sintesi della sua silhouette. Adesso risulta essere solo una questione tecnica avvalersi di un piano, l’ultimo, sul quale poter ottenere l’immagine data dall’ombra, ma è invece sul concetto di ombra che bisogna soffermarsi per una comprensione completa di questo passaggio.

L’OMBRA
Scansando aprioristicamente una dissertazione sul Mito della Caverna di Platone, a questo punto diviene indispensabile, per non incorrere una lettura dell’opera esclusivamente in chiave filosofica, capire che l’ombra, qui, è e non è la Verità di queste opere. E’ semmai solo il penultimo dei processi attraverso e per mezzo dei quali, come stiamo vedendo, l’opera viene a galla nella sua interezza; un passaggio obbligato ma, nell’economia della stessa, di pari peso agli altri e non, in assoluto, il principale. Se l’ombra, come sembra far credere ad un primo impatto, “smacca” e rivela un disegno e un progetto “altro” dall’informe, aggrovigliata massa che la precede, è solo perché questa risulta essere (proprio grazie all’ombra) un fine e ragionato calcolo di forme e piani sequenziali tra loro in una calibrata armonia di costruzione a distanza che da accumulazionesignificante diventa Scultura-significato. L’ombra disvela-rivela in maniera automatica e fredda; allo stesso modo e contemporaneamente, la Scultura non rappresenta ora altro che il caos, l’anarchia (impura, come è stato specificato) della difformità, ma grazie alla luce, e a un sapiente gioco di punti di vista, forme e proporzioni a distanza ravvicinata, disvela-rivela la forma.

IL PIANO
Capolinea di questa struttura conica delle opere di Noble & Webster, sul piano va a proiettarsi la luce filtrata dalla Scultura, che disegna una silhouette spesso dal forte e dissacrante contenuto. Sul piano, inoltre, sembra trovare conferma anche il misticismo razionalista del Mito di Platone: il mondo reale (la Scultura), rinvia alle idee (l’ombra), non ricavate queste per astrazione, perchè già esistenti in un parallelo staccato detto Iperuranio (vedi Platone: Fedro), una dimensione, quest’ultima, fatta di idee che sono immagini: modelli ideali per le cose terrene di cui sono riflessi, come l’ombra è il modello superiore della Scultura. Platone non a caso usa nella sua opera Menone, descrivendo questi concetti, il termine eidos, correttamente tradotto dal greco con: “forma” o “immagine” e non tanto con “idea”. L’aderenza quindi col pensiero platonico di queste opere di Noble & Webster, si fa sovrapponibile e tangente nel passaggio obbligato del concetto disvelante da: idea a forma, immagine, poiché è solo grazie all’immagine proiettata, che disegna un profilo, una forma, se la Scultura assume una valenza aggiunta e perde la sua in-significante dimensione astratta. Questo termine ultimo, visto solo però come un’estremità, viene ad acquisire completamente la funzione e il posto che, se si trattasse di pittura, avrebbe la tela bianca: il piano della rivelazione; la parete concava della Caverna. Trattandosi invece di una superficie objet-trouvé, se da un lato conclude il processo creativo ascendente e di forma conica, come abbiamo fin qui avuto modo di scoprire, dall’altro funge da imbuto contrario allo spettatore verso il cuore dell’opera: la Scultura, e ne riapre inaspettatamente un’inedita, obbligata rilettura alla luce di quanto emerso sul piano.

LA SCULTURA (rivisitata)
L’immagine formata dall’ombra, ben visibile e leggibile sul piano, sposta l’attenzione dello spettatore forzatamente sul punto centrale dell’opera, la Scultura. Se inizialmente questa veniva presa in considerazione solo come semplice accumulazione per le sue strane, deformi e tutto sommato anche trascurabili proporzioni, adesso viene riletta e studiata dallo spettatore alla luce (è ovviamente il caso di ammetterlo) di quanto disegnato grazie al suo profilo in ombra. I contorni proiettati sul piano, vengono adesso ricercati tra le sporgenze acuminate e frammentate dell’accumulazione, individuati nei dettagli proiettati uno ad uno cambiando posizione e punto di vista, letti, per la prima volta, in funzione di una diversa e modulare continuità con la terza dimensione, in una sovrapposizione di ottiche allineate alla ricerca di una sintesi sovrapponibile con la stessa ombra-immagine bidimensionale. Il percorso di rivisitazione della Scultura assume le caratteristiche della scoperta e della verifica, del confronto tra oggetto reale, tangibile, e immagineombra proiettata, alla ricostruzione sequenziale tra pieni e vuoti divenuti adesso ordini prestabiliti, non più indici di caos e casualità, ma coordinate, punti di riferimento indispensabili nell’intricata osservazione polidimensionale della vera opera d’arte e dell’esperienza maieuticamente appresa. Questo gioco di luci e ombre che Noble & Webster allestiscono, fatto di pieni e finti vuoti, di ordine e finto caos, di contrasti che sfruttano i punti di vista (letteralmente intesi, ma non solo, volendo) e l’illuminazione, come in un teatro di ombre cinesi, racchiude tutto il fascino e l’intelligenza di queste creazioni. Di fronte ad esse, che sia prima a colpirci l’ombra proiettata o la Scultura, poco importa; la dinamica dell’evento costruttivo e percettivo, che qui combaciano con una dinamicità quasi pittorica, risulta alla fine essere la vera opera d’arte. Condotti o approdati da soli al termine di questa esperienza visiva e metafisica insieme, alla fine non può che rimanere un’ombra, o una luce.

Nicola Busato

1 Commento

  1. Salvatore - commento aggiunto il 14 febbraio 2011 | Permalink

    Perché vedi quello che gli altri non vedono o fanno finta di non vedere tipo la pagliuzza negli occhi?
    Scritto critico che va oltre le apparenze! ;)

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