Apoloopgia

Il loop è un processo di reiterazione temporale di una struttura, sonora o di carattere visivo. Solitamente tale struttura ha la caratteristica di frammento, tuttavia nulla esclude che essa possa essere lunga o artefatta quanto basta da non rendere più identificabile il punto di inizio, ovvero il momento in cui il loop si azzera per [...]

Il loop è un processo di reiterazione temporale di una struttura, sonora o di carattere visivo. Solitamente tale struttura ha la caratteristica di frammento, tuttavia nulla esclude che essa possa essere lunga o artefatta quanto basta da non rendere più identificabile il punto di inizio, ovvero il momento in cui il loop si azzera per ripresentarsi ancora identico in una prospettiva temporale che ad ogni ripresa tende sempre più ad appiattirsi.

loop

La mia riflessione più insistente sul loop concerne sia il suo carattere di ciclicità temporale che la sua natura di prerogativa della composizione elettronica. Come mai non è possibile parlare di loop in merito alle forme musicali con ritornello, o estrapolando di molto, in merito ad ogni occorrenza umana in cui il giorno si alterna alla notte? I procedimenti di misurazione del tempo, anni, ore, minuti, secondi, etc. ricorrono a forme cronometriche di loop, e la vita stessa nella scansione dei propri ritmi potrebbe essere intesa come un loop continuo di attività ciclicamente reiterate, di stagione in stagione, di anno in anno: mangiare, dormire, lavorare, viaggiare, etc.

La mia riflessione più insistente sul loop concerne allora la sua natura elettronica: si parla di loop solo se ogni ripetizione è assolutamente invariata. Un’assolutezza che solo l’evoluzione della meccanica e l’avvento dell’elettronica ha reso possibile. La ripetizione resta invariata solo se essa rilegge la stessa matrice, con gli stessi strumenti e con le stesse modalità.

La mia riflessione più insistente sul loop converge dunque in una riflessione sulla rivoluzione che l’elettronica ha prodotto rendendo possibile un’artificiosità della forma che nessun essere vivente riesce a riprodurre. Nessun giudizio di merito. Solo una considerazione generica sulla significazione estetica tradizionale: la riproposizione a livello artistico di riferimenti isomorfici in cui i processi di sviluppo temporale di un materiale tematico sono sempre riconducibili, per un verso o l’altro, a processi biologici; procedimenti, ad esempio, come il crescendo, o lo sviluppo, o il ritardando o il rubato, o la sospensione, o la cadenza, etc., rimandano a strutture o a regole tese ad animare una materia che altrimenti risulta morta, nell’accezione “meccanica” del termine.

Il concetto, altrettanto tradizionale di teatralità, o di drammaturgia, in cui ancora una volta un rapporto isomorfico orienta la creatività artistica verso l’imitazione di caratteri espressivi ben definiti, riappare anche all’interno di correnti recentissime in cui l’approccio tradizionale potrebbe sembrare del tutto superato. Lo Spettralismo, ad esempio, in cui l’integrazione formale e armonica di una composizione è ricondotta ad una struttura timbrica di carattere materico e concreto, potrebbe essere inteso come un pensiero in cui il “materiale” acustico viene parafrasato e le sue proprietà morfologiche, o di gerarchia armonica assumono ruoli o funzioni in grado di “narrare” l’evoluzione della propria materia e le dinamiche di fusione o di scontro dei propri impasti spettrali. Una struttura che parla di sé e che parla del proprio destino evolutivo, inesorabile e prestabilito dal proprio DNA armonico. Ancora quindi un riferimento biologico.

Un riferimento al quale solo il loop sembra sfuggire.

Ancora nessun giudizio di merito. Solo una seconda considerazione sui rapporti tra la sua natura di embrione formale e la sua diffusione in ambito commerciale. Più una struttura si ripete, minimalisticamente invariata, più il senso di trance ne risulta incrementato, più un chiaro richiamo all’invivibilità della società occidentale e alla barbarie di un’alienazione basata su schemi usa e getta, economici e sbrigativi, produce sublimazione e significazione artistica: il loop come strumento di semplificazione dei processi produttivi, come salvezza di fronte all’incombere delle scadenze e di fronte allo stress creativo di una forma durchkomponiert, sempre rinnovata e mai riciclabile. Com’è noto, l’artificial intelligence, mirando alla creazione di nuove forme intellettive, si trova di fronte al grande dubbio se tali forme debbano essere veramente nuove o se debbano preservare i caratteri di “naturalezza” di cui il modello biologico propone l’esempio madre. L’affascinante interpretazione del silicio come forma vivente sostitutiva del carbonio, non contiene alcun riferimento al problema della fondamentale alternativa che la nuova forma vivente accolga la meccanicità dell’invariato o si articoli come forma vivente tradizionale in cui ogni istante è rigenerato e mai identico al precedente.

A questo punto, qualche giudizio di merito può essere espresso. Ad esempio su come l’emarginazione culturale che il loop subisce da parte degli ambienti colti sia spesso frutto di superficialità e scaturisca dalla mancanza di interesse e approfondimenti sugli aspetti psichici e culturali ad esso correlati: 1) la possibilità che la ripetitività di un materiale invariato possa produrre ugualmente un rinnovamento continuo dei processi percettivi ad esso connessi, soprattutto in condizioni di indotta instabilità emotiva e percettiva; 2) l’impossibilità che una struttura esterna reiterata meccanicamente sia percepita come tale da una struttura vivente, l’uomo, viceversa così suggestionabile e così poco oggettiva di fronte alla quantificazione del dato temporale, soprattutto nel caso di ascoltatori culturalmente orientati a produzioni fai da te e musicalmente non auto referenziali.

Il disinteresse per la coltivazione del loop e per il suo riconoscimento come processo compositivo ortodosso, la mancanza di lucidità all’interno delle aperture concettuali anti dogmatiche di un accademismo musicale che assimila Cage alla semplice e banale provocatorietà gestuale, evidenziano una probabile incapacità di dialogo tra le vecchie e le nuove generazioni di compositori. Non si tratta di un problema etico ma funzionale, che coinvolge tutta una serie di discipline dall’antropologia, all’estetica, alla psicologia della musica, semplicemente assenti nelle prospettive programmatiche scolastiche.

E se il futuro dell’estetica, e dell’arte in generale con essa, fosse davvero destinato a divenire totalmente estraneo all’oggetto materiale in sé? Se il futuro dell’opera d’arte, persa ogni consapevolezza di sé e dei propri processi, traghettasse verso la neuroscienza e verso un’immaginaria e fantascientifica neuroarte in cui i processi artistici, scopertane la natura puramente fisiologica ed ergonomica, fossero indotti chimicamente? Davvero fantascientifico?

Si pensi ad una platea di migliaia di spettatori. Una chewing-gum color fuxia prodotta dai chimici della band musicale che si esibisce (che ovviamente non ha mai suonato una nota) viene distribuita dalle poltrone autorifornenti del teatro. Dopo pochi secondi inizia lo spettacolo. Il cervello degli spettatori ruminanti opportunamente stimolato inizia a percepire dei suoni. A breve i volumi incredibilmente bilanciati di sonorità vorticose si alternano ad abbaglianti e sublimi visioni. Le mani sudate e gli occhi fuori dalle orbite di una folla di allucinati, lo sguardo annoiato e indifferente del servizio d’ordine che aspetta di smontare.

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