Elio Ciol. Le pietre raccontano di Chiara e Francesco

Settantasei scatti fotografici dalle innumerevoli gamme di grigio, si susseguono con un ritmo incalzante privo di cesure, accompagnando il visitatore in un viaggio suggestivo in cui i luoghi da fisici e pittorici divengono mistici.
Il racconto per immagini di Elio Ciol (Casarsa, 1929) che vede protagonista la vita e la figura di Santa Chiara, a [...]

Settantasei scatti fotografici dalle innumerevoli gamme di grigio, si susseguono con un ritmo incalzante privo di cesure, accompagnando il visitatore in un viaggio suggestivo in cui i luoghi da fisici e pittorici divengono mistici.
Il racconto per immagini di Elio Ciol (Casarsa, 1929) che vede protagonista la vita e la figura di Santa Chiara, a cui quella di San Francesco fa qui da corollario, nasce da una commissione della Pro Civitate Christiana di Assisi in occasione dell’ottavo centenario della nascita della santa.
Nel dicembre del 2006, Anna Nabot, direttrice della Galleria d’Arte Contemporanea della Pro Civitate Christiana di Assisi, concepisce e allestisce una mostra presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Palazzolo Acreide (SR).
SenzaIn quell’esposizione l’opera Le pietre raccontano di Chiara e Francesco di Ciol si presentava, sia visivamente che concettualmente, come un affresco medioevale dipinto sul cleristorio di un edificio ecclesiastico: Una lunga teoria di immagini in bianco e nero, si dispiega sulle pareti della sala espositiva dalla semplice architettura voltata a botte.
Le immagini, accostate paratatticamente le une alle altre, formano un ciclo narrativo unitario, ontologicamente dato dall’alternanza tra fotografia di paesaggio e riproduzione fotografica di particolari pittorici tratti da affreschi del Trecento.
Il loro andamento è ritmato da 23 microsequenze sottolineate da dotte didascalie, tratte principalmente dalla Legenda Sanctae Clarae Virginis di Tommaso da Celano e dal quattrocentesco Processo di canonizzazione di Santa Chiara d’Assisi. Le diciture, apposte in volgare umbro del ‘400, sono concepite dall’artista come parte del tessuto narrativo dell’opera, di cui integrano ed esplicitano il contenuto.
Sotto il profilo tecnico, il taglio delle immagini, il formato delle stampe, l’uso frequente del campo e del controcampo, l’uso della pellicola all’infrarosso sono indicativi di una scelta operativa volta a coordinare come in un’unica composizione le foto appartenenti a una stessa sequenza.
ciol-f2Ciò si nota maggiormente nei riquadri, concepiti come opera unitaria, in cui più immagini sono collocate all’interno di una medesima cornice. Qui gli elementi formali architettonici o naturalistici fanno da pendant a quelli pittorici, o viceversa.
Il meccanismo speculare così innescatosi dà luogo ad una concatenazione logico–narrativa, fatta di continui rimbalzi ed incastri, in cui il dato formale di un riquadro diviene semantico in quello successivo, e in cui il legame tra gli elementi metaforici e quelli reali si rinsaldano. In tale condizione, metafora e simbolo divengono complementari ad una realtà umana e urbana, intimamente studiata e compresa. Ciò, visivamente reso attraverso un’ampia gamma di toni grigi “volti a smussare asprezze, e tesi a creare misteriose lontananze, in grado di trasfigurare la realtà in serena e poetica contemplazione”[dal catalogo della mostra edito da Cittadella Editrice con testi di Francesco Santucci e Tony Bernardini].
Le microsequenze sono a loro volta ordinate all’interno di 4 macrosequenze, incentrate, la prima sul luogo della nascita di Santa Chiara, la seconda sui luoghi della sua fuga, la terza sul luogo della clausura e la quarta sul luogo della sua sepoltura.

Elvira D’Angelo

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