Alva Noto/Carsten Nicolai
Xerrox Vol.1

Sul sito della Mille Plateaux (Francoforte), etichetta tedesca indipendente fondata da Achim Szepanski, con cui Alva Noto ha pubblicato Prototypes e il ciclo Transall, nel 2000, e Transform, nel 2001, si trova un’interessante raccolta di brevi scritti teorici sul click. In essi lo spettro di scrittori quali William Borroughs e Jack Kerouac aleggia e riaffiora, [...]

Sul sito della Mille Plateaux (Francoforte), etichetta tedesca indipendente fondata da Achim Szepanski, con cui Alva Noto ha pubblicato Prototypes e il ciclo Transall, nel 2000, e Transform, nel 2001, si trova un’interessante raccolta di brevi scritti teorici sul click. In essi lo spettro di scrittori quali William Borroughs e Jack Kerouac aleggia e riaffiora, unendosi a quello dei filosofi della scuola di Francoforte (Walter Benjamin, Theodor Adorno, Max Horkheimer) e, soprattutto, ai post-strutturalisti Deleuze e Guattari, autori di un’attenta analisi sulla schizofrenia della società contemporanea. In particolare, Low and theory, del critico-sociologo Simon Reynolds, fornisce la via più breve per comprendere il complesso panorama artistico berlinese, tra ambient sperimentale, techno e minimalismo, in cui Carsten Nicolai, aka Alva Noto, si muove.

Nello scritto di Reynolds, il Rave, l’House, la Techno, il Progressive Rock, vengono criticati per il totalitarismo e l’omologazione che essi ormai esprimono. In antitesi si individua tutta una serie alternativa di sottosistemi contestuali e indipendenti “post-rave” che vanno dal Digital Hardcore all’HipHop, ideologicamente ricollegabili alla scena sperimentalista post-punk e new wave tedesca, che sfuggono al controllo delle masse imposto dal determinismo tecnologico implicito nell’uso di software e strumenti commerciali e nei concetti di efficienza, ottimizzazione, controllo, etc., che essi diffondono. A volerli sintetizzare basta osservare gli indirizzi delle etichette discografiche di Szepansky: la Force Inc per l’hard Techno e l’House, la Mille Plateaux per l’Electronica, la Riot Beats per il Jungle, la Electric Ladyland per il TripHop.

L’uso di materiale non più definibile ‘di scarto’ ma strutturale, come clicks, glitches, fruscii, distorsioni, rumore, ronzio, etc., in quest’ottica si pone come strumentale alla contestazione di una visione della società come tangente al suo establishment e offre l’interpretazione più interessante del cosiddetto Minimalismo Digitale, a cui diversi lavori di Alva Noto possono ascriversi: il rifiuto simbolico dell’ornamento, della ridondanza e della saturazione (allegorica) dello spazio acustico.

Tali implicazioni concettuali conducono da una parte alla diramazione stilistica dell’Ambient sperimentale, dall’altra all’originalità di proposte come Xerrox.

Proseguendo un percorso basato sulle etichette discografiche indipendenti passiamo dalla tedesca Mille Plateaux all’americana 12K, fondata da Taylor Deupree e attiva in stretto rapporto con la tedesca Raster-Noton di Alva Noto. Nel catalogo della 12K e della sua sub-label Line si trova la migliore produzione contemporanea di musica elettronica sperimentale e Ambient, da Frank Bretschneider agli Skoltz Kolgen, da Richard Chartier a Sebastien Roux, da Kenneth Kirschner a Steinbruckel.

Il concetto di rarefazione nella produzione della 12K diviene nuovamente corollario del post-strutturalismo deleuziano. Lo stesso Deupree in un intervista di G. Cordaro afferma: “Minimalismo, semplificazione. Sono queste le mie reazioni alla realtà sovra-stimolante. Penso che sia un modo molto salutare di vivere, imparare come evitare tutta la merda con cui siamo bombardati ogni giorno […] il mondo diventa ogni anno sempre più piccolo e più omogeneo così diventa sempre più importante trovare le proprie identità sia come cultura che come individui. […] Continuerò con l’affermazione della missione originale, di permettere agli ascoltatori di scoprire la 12k, senza un’eccessiva promozione, senza sbattergli nulla in faccia.”

Alva Noto, Xerrox vol.1

Alva Noto, Xerrox vol.1, cover

La semplificazione che si riscontra nella rarefazione di autori come Richard Chartier o nel puntillismo di Frank Bretschneider (per restare all’interno della 12K), non esprime così un impoverimento linguistico ma una dimensione di “concentrazione” semiotica su elementi-frammenti singoli, talmente estrema da poter divenire ipnotica. Talmente programmatica in questo procedimento (“analitico”, nel senso proprio del termine) da condurre Noto, per vie parallele, ad una separazione anche nominale tra la sua attività di musicista e quella di artista visivo: il binomio Alva Noto/Carsten Nicolai esprime in fondo la volontà minimalista di agire su elementi unici, scissi, per non diluire la profondità elementare di ciascuno di essi.

Da questo rigore concettuale e formale muove la produzione dell’etichetta Raster Noton (Chemnitz, Germania), fondata nel 1996 da Olaf Bender, Carsten Nicolai e Bretschneider.

“Xerrox Vol.1″, lavoro esteso, organico, a tratti dal carattere quasi orchestrale, è la prima parte di un ciclo di 5 articolato sull’idea di “copia”, sul concetto di degradazione di una riproduzione e sulla sostanziale modifica di significato che il processo esercita sull’informazione originale.

L’elaborazione video basata sulla cimatica, ovvero sull’effetto morfogenetico delle onde sonore, esprime qui la visione microscopica del processo creativo che ne scaturisce. Modelli grafici elementari, dai colori desaturati e metallici, come nebulose puntillistiche o ammassi fluorescenti e cangianti, si animano e contorcono sotto le scosse, come di elettricità statica, del suono, in un drammatismo sempre assolutamente coeso allo spettro acustico sottostante.

La modifica di un software di acquisizione d’immagini di una fotocopiatrice Haliod  Xerrox, trasformato da  Nicolai Carsten e Christoph Brünggel in un programma per la manipolazione di campioni audio, richiama il precedente ciclo Transall (transrapid, transvision und transspray), in cui Carsten aveva trasformato testi, immagini e grafica vettoriale in un flusso di dati audio, ricavando ritmo e struttura dai dati della conversione. I suoni risultanti – granulari, striati, dentellati, incrinati – esprimevano l’atomizzazione di una struttura attraverso la traduzione di dati in molecole di una catena/flusso di pulsazioni stridenti.

In Xerrox, i campioni tratti dal paesaggio sonoro di pubblicità, annunci aeroportuali, suonerie telefoniche, colonne sonore, muzak,  - narita airport tokyo, in-flight program air france, telephone wait-loop lufthansa, hotel apollo paris, suizanso hotel yamaguchi, seven-eleven tokyo, forma london, reaktor, www.kkmovie.com – vengono manipolati attraverso il processo della fotocopiatura, trasformandosi così in copie sonore di se stessi. Con ogni duplicazione il segnale si degrada, i contorni dell’originale sfumano e si sfocano finché non resta di esso che la suggestione di un‘immagine nebbiosa e una lontana evocazione dell’originale. L’informazione contenuta nel materiale originale degradandosi si confonde con quella artefatta finché la fonte non è più distinguibile dal suo prodotto derivato.

Come già accennato, Xerrox segna un nuovo percorso per l’autore, sia in termini materiali che formali. Tra i primi esponenti del post-techno concettualmente impegnato – ciò che più appare importante è la corrispondenza tra la concezione sottostante all’opera e come essa si manifesta in suoni: quanto il risultato riesca a corrispondere alle previsioni – Carsten si era finora espresso attraverso un funk astratto e pixellato prossimo agli schemi ritmici dell’hip-hop e del R&B contemporanei, mai estranei alle atmosfere da dance club. In questo suo ultimo lavoro si attraversa invece un terreno musicale trasfigurato e quasi invasivo, in cui vengono meno i ritmi delicatamente pulsanti e i modelli vagamente melodici dei lavori precedenti.

I ronzi ed il fruscio si sovrappongono in molteplici strati, sotto  una base di clangori e rumore lentamente variata; una costruzione che alle volte ricorda Machinefabriek o Tim Hecker in cui non sembra più possibile scorgere tracce della scena minimale di Mille Plateaux.

“Ciò che alla fine resta è il processo stesso di copiatura. Esso diventa uno strumento creativo attraverso la realizzazione analitica di qualcosa di diverso. La trasformazione della copia fornisce spazio al procedimento di sviluppo – la copia diviene nuovamente un originale.” (Alva Noto).

Renato Messina
dalle note di sala per un concerto dell’Associazione Musicale Etnea
stagione 2008-2009

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